mercoledì 27 giugno 2007

Il mio incontro con lo Struffello

INCONTRO CON ALESSANDRA PALOMBO



Il luogo

A poche persone è permesso
vivere all’Elba l’alba viola
che incatena chi veglia.
Un dì di febbraio un raggio
violaceo venne sul letto
a baciarmi le labbra.
Era l’alba, ero all’Elba
e, allora, ero giovane e bella.

Eh sì, ero giovane e bella. Rientrata dal viaggio di nozze, avevo lasciato la città e con lei i miei affetti più cari, le amiche, le opportunità di lavoro che si erano presentate dopo la mia laurea, per calarmi in una realtà completamente diversa da quelle in cui avevo vissuto fino allora.
Il paese era costituito da un pugno di case, le persone si conoscevano tutte, erano imparentate tra loro ed io m’intristivo a guardare il mare da lontano e a pensare alla mia famiglia, alle luci dei grandi magazzini e alle librerie cittadine dove ero solita passare a curiosare tra gli ultimi arrivi di narrativa.
La Sip ritardava ad allacciarmi il telefono; mi sentivo fuori dal mondo, soprattutto nei pomeriggi invernali quando mio marito rimaneva a scuola sino a tardo pomeriggio.
Così successe che un giorno, per scuotermi dalla malinconia che il silenzio attorno casa mi trasmetteva, decisi di uscire a fare due passi.
Il freddo era pungente, il sole era calato da un po’, ma mal sopportavo di starmene chiusa a leggere e a guardare la televisione. Non sapevo, però, cosa mi aspettava fuori dalla porta.
Il paese era deserto. Il mercoledì i negozi erano chiusi e non c’era anima in giro. Le luci dei lampioni oscillavano; nelle stradine e nelle scalinate incontravo solo gatti. Attraversai la piazza dove, con sollievo, trovai una parvenza di vita: due bar aperti e una signora che rientrava a casa. L’avevo intravista in Chiesa, ignoravo il suo nome, ma lei non il mio.
“Sandra dove te ne vai con questo tempo e a quest’ora?”
“ All’ambulatorio, chiude alle sette, vero?”
“ Sì, ma è freddo; è meglio stare al caldo, altrimenti ci si ammala sul serio.”
“ Farò presto; raggiungo mia suocera che dovrebbe essere andata dalla dottoressa per un controllo.”
Mi ero inventata di sana pianta la storia della visita medica, avevo bisogno di aria, di luci di suoni, di clacson, di rumori che in quel paese, me ne resi conto quel giorno, non avrei mai trovato, se non in estate, quando si popolava di turisti.
Arrivata alla fine dell’abitato, dove c’era l’ambulatorio, girai e stavo ritornando verso casa, augurandomi che mio marito tornasse presto, quando, svoltato un angolo, mi scontrai letteralmente con uno strano animale e mi ritrovai in terra con le ginocchia sbucciate.
“ Ahhhh!!!”. Il mio urlo dovuto allo spavento e alla caduta si propagò nei vicoli deserti, da dove chiaramente non giunse nessuno a soccorrermi.
Mi rialzai, mi feci coraggio e lo guardai negli occhi.
Erano dolcissimi, tradivano una malinconia che la mia era niente al confronto. D’istinto, accarezzai la sua chioma e lisciai le sue penne.
“Come ti chiami?”
“ Struffello.”
“ Piacere, io Sandra.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro; ci leggevamo dentro, eravamo sensibili entrambi e tutti e due ansiosi di trovare la nostra pace. Lui nella Manfregola, io nel capire cosa mi avrebbe riservato il futuro in quel piccolo paese collinare dove mi ero ritrovata a vivere e nell’isola nella quale ero tornata dopo anni trascorsi in continente.
Struffello dormiva in una cantina abbandonata nella piazzetta sotto casa mia e la mattina seguente lo invitai a prendere un caffè. Era giovedì, giorno in cui mio marito rimaneva a scuola tutto il giorno e lui s’attardò per raccontarmi il motivo per cui si era fermato in paese.



L’arrivo

Poetica, che orchestri segni
oltre il visibile e il tangibile,
ed inviti il lettore nel testo,
tra i versi, a visitare viuzze
interiori, sei inutile ai più
che voltano tronco e volto
a fronte di eterne domande.

Era settembre ed era stanco del volo il povero Struffello. Passando sopra una piazza del paesino, su una panchina un po’ in disparte, rispetto ai bar e gli altri punti di ritrovo, vide un vecchio con il volto disteso e le mani in grembo che guardava davanti a sé con lo sguardo assorto.
Il borgo antico immerso nella macchia mediterranea, l’espressione dell’uomo e il silenzio che li circondava apparvero allo Struffello segni favorevoli per risolvere l’enigma della scomparsa della Manfregola.
Giuseppe aveva superato, da anni, il novantesimo compleanno, aveva attraversato due guerre, sofferto la fame, rischiato di morire.
Alla fine del secondo conflitto mondiale per guadagnare due lire era stato tra i pochi che avevano accettato di lavorare alla sistemazione del cimitero dopo che era stato bombardato, perciò non si scompose quando lo strano uccello atterrò vicino a lui e neppure si schifò quando un piccolo escremento scivolò sulla pietra poco distante.
Non sapendo come iniziare la conversazione, lo Struffello aveva cominciato il discorso sulla Manfregola prendendolo alla larga:
“ E’ bello qui, c’è pace”.
“ Sì la tranquillità non manca, ma da dove vieni? Non ho mai visto uno della tua razza.” Rispose il vecchio girando il collo verso lo strano animale.
“ Non ha importanza, sarebbe troppo lungo raccontarvi la mia storia, vi annoierei. Sto viaggiando alla ricerca di una pianta che amavo molto e che non riesco a trovare, non so più dove abbia messo radici.”
“ E’ un’erba selvatica?”
“ Certo non è addomesticata e le sue origini si perdono nella preistoria. Furono gli Dei a crearla per donarla agli uomini.”
“ Allora è un’erba medica! Sulle colline vi sono molte piante medicinali. Guarda quell’altura. C’è un eremo, senza monaci ormai, dove hanno ricreato un giardino piantando malva, rosmarino, ortica, salvia e tutte le altre erbe che servivano all’uomo per curarsi.”
“ Quella che cerco io si chiama Manfregola e serve allo spirito non al corpo.”
“ Allo spirito? Mai sentito di una pianta che serve allo spirito.”
“ Infatti, è rara e pochi la conoscono e la usano.”
“ Che giovamenti porta?”
“ Chi coglie una delle sue foglie vede il mondo da una prospettiva diversa, vive gli affanni con filosofia, si avvicina al cielo e agli Dei.”
Il vecchio rise: “ Agli Dei? Mica siamo al tempo degli etruschi!”
“ Hai mai letto una poesia?”
“ Più che altro le ho ascoltate. Mia moglie la sera accende la luce piccola, inforca gli occhiali e legge ad alta voce un articolo di giornale oppure un pezzo di libro o un passo della Bibbia. Lei ha studiato, io sono ignorante.”
L’uomo cominciò ad incuriosirsi. Era strano quell’uccello: “ Qual è il tuo nome?”
“ Struffello.”
“ Senti Struffello, la poesia è davanti a te. Vedi quei colli?”
“ Non sono cieco, certo che sì!”
“ Se passeggi lungo i sentieri, che da qui non si vedono perché sono nascosti dagli alberi, troverai la poesia. Vi sono lecci, sugheri, querce, pini secolari che affondano le radici in una terra ferrosa colma di scorie e di storia. Una volta, lavorando in una casa vicino al mare, trovai un fossile. Questa è la poesia, immergersi nella natura, guardare il cielo, trovare un vecchio arnese e inventarsi la sua storia.”
“ Allora la Manfregola potrebbe vivere in quella zona. Sapete che faccio? Adesso che mi sono riposato vado a dare un’occhiata all’eremo.”
“ Buona giornata signor Struffello! T’avverto che laggiù troverai un artista un po’ matto. Non è un paesano, ma ha scelto di abitare tra noi. Siamo gente semplice e genuina e l’aria è buona.”
“ Buona giornata a voi, vecchio saggio.”
Detto questo Struffello spiccò il volo.
Nell’avvicinarsi all’eremo, dove la piccola costruzione dominava un pianoro, il profumo della macchia mediterranea si faceva, a mano a mano, più intenso.
Era da tempo che non odorava la terra e le sue essenze e l’uccello ispirò a tal punto da stordirsi.
“ Dove sono? Che mi è successo?” domandò a un giovane scapigliato accanto a lui
“ Ah! Ti sei ripreso! Non preoccuparti sei stato preda della sindrome di Stendhal.”
“ Ma qui non ci sono opere d’arte!”
“ La natura non è la massima manifestazione dell’arte?”
“ Forse sì, ma a me piace di più la poesia perché ci stacca dalla materialità della vita e ce la fa osservare da lontano e da vicino.”
“ Spiegati. Da lontano o da vicino?”
“ Da lontano perché guardando la vita con i suoi occhi, la vediamo a distanza cogliendone gli aspetti essenziali, da vicino perché mette in evidenza alcune particolarità che sfuggono al comune vedere.”
“ Cioè?”
“ Prendi un quadro. Il suo essere irriproducibile è dovuto al fatto che solo il pittore che lo ha dipinto può trasmettere la sensazione che ha scelto di rendere su tela e così è nella scrittura. Un autore può apprendere tutte le tecniche poetiche, scrivere una poesia perfetta, ma se la sua anima è sterile il suo scritto dalla forma impeccabile non produrrà emozioni e non sarà poesia.
In ogni caso sono discorsi a vanvera.
La poesia è sparita e sto andando a cercarla per stanarla e farla conoscere agli uomini moderni.”
“ Ti chiedo, usando le parole di un amico: a qual fine?”
“ Per permettere alle persone di vivere la poesia ovunque essi abitino.
La poesia è in ogni luogo, ma il rumore, la fretta, l’arrivismo di questa nostra epoca che si basa sul denaro più che sui valori l’ hanno portata a nascondersi e a fuggire per non essere derisa.
La poesia è l’unica arte che ha rifiutato di prostituirsi, non arricchisce nessuno e quindi è libera, libera anche di scomparire quando si sente incompresa e umiliata.
I semi che ha donato agli uomini nei secoli sono fioriti, ma sparendo lei, le poche talee selvatiche stanno seccando. E’ necessario e urgente ritrovarla. Sto malissimo senza di lei. La amo dall’eternità e voglio ritrovarla per spargere ancora i suoi semi perché colorino di rosa l’esistenza umana.”



I semi

In attesa di
sciogliere i nodi,
pettino l’ansia
che mi rende insonne.
Ignaro, girato di lato,
mio marito dorme.
In pozzo d’interno
intravedo
trasparenze d’azzurro
a spazzare la nebbia.

Struffello all’eremo aveva trovato indizi favorevoli che lo portarono a pensare che la Manfregola si fosse nascosta in quei luoghi e cominciò a perlustrare le zone interne dell’isola. Così si stabilì tra quei colli.
Lui cercava la Manfregola ed io leggevo. A fine giornata ci trovavamo sulla murella sotto casa mia. In silenzio ascoltava le emozioni e le riflessioni che le letture mi aveva suscitato e poi apriva il becco per, a suo dire, iniziarmi alla poesia.
“Sai Sandra, mi ha fatto piacere sapere che la moglie di Giuseppe legga poesie la sera, ma non credo che tutti e due riescano ad apprezzare del tutto i versi.”
“Perché scusa? Se gli trasmette un emozione vuol dire che il poeta ha raggiunto il suo scopo.”
“Non basta. Anche leggere su un quotidiano la notizia di un bambino abbandonato ci turba e ci scuote, ma non è poesia.”
“A scuola ci facevano fare la parafrasi del testo.”
“ Sì certo un tempo …Eh…eh… sei vecchiotta!”
Gli scarruffai i capelli con la mano e lui volò a casa perché era stanco; aveva viaggiato a lungo tutto il giorno alla ricerca della sua amata.
La mattina seguente, seguivo con lo sguardo mio marito che avviava la macchina per andare a lavorare e vidi Struffello seduto sui gradini della sua cantina.
Attirai la sua attenzione aprendo con vigore le persiane contro i muri esterni e gli feci cenno di salire. Il caffè che era ancora caldo e davanti alla tazzine fumanti riprendemmo il discorso sul rapporto scuola – poesia.
Fui io a voler approfondire il tema.
“Perché ieri mi hai ricordato che ero vecchiotta riguardo alla poesia e alla parafrasi?”
“Nella scuola gli insegnati non dedicano molto tempo alla poesia però, rispetto a quando tu eri ragazzina, hanno compreso che l’approccio con un testo in versi deve essere diverso e più completo.”
“Spiegati! Sono sempre mezz’addormentata.”
“Come primo passo il lettore deve domandarsi chi è l’autore e a quale periodo storico appartiene per individuare le tendenze culturali dell’epoca. In quale anno è stato scritto, in che momento, a quale situazione si riferisce, di che genere di poesia si tratta, per esempio epica, satirica, lirica post-moderna e a chi è indirizzata.”
“A me, tutte queste indicazioni, e tanto meno, credo, a Giuseppe non servono a niente, non dobbiamo mica superare un esame!”
“Vero, allora dimmi cosa t’interessa sapere?”
“Vorrei riuscire a capire quando un testo può essere definito poesia. Dove sta insomma il confine tra uno sfogo emotivo e la poesia vera.”
“E’ curiosa la tua domanda. E’ poesia quando ciò che rumina lo stomaco è elaborato da cervello e il testo esce con ritmo, musicalità e il messaggio esce limpido come l’acqua di una sorgente.
Ehi! Mica ti sarà salato in mente di metterti a scrivere poesie?”
Lo sguardo di Struffello a questo punto s’illuminò, in lui s’era accesa la speranza che la Manfregola non fosse poi così lontana e, infatti, senza neppure salutarmi uscì dalla finestra aperta per riprendere la sua perlustrazione.
Mi alzai per cominciare a rassettare la casa e sfaccendando mi ritrovai a cercare anch’io la Manfregola, nel senso che mi venne voglia di provare a scrivere una poesia.
Stavo annaffiando le piantine sul terrazzino quando nel vaso dei fiori di vetro vidi un seme portato dal vento.
Lo interrai e dopo poco delle parole cominciarono a frullarmi in testa e pensai di scriverle per regalarle allo Struffello:



La mia scrittura autentica,
pudica, proietta
l’essenza del mio spirito

- la donna gelosamente difende la propria intimità –

alla sbarra, rigida s’imbriglia,
piroettando
tra le gabbie del linguaggio

- "Homo ludens" dalla lettrice è stato recepito bene –

talvolta, spinta da un poeta,
scopre alcune tele
del propriopaesepatriaisola

- Da soggetto a oggetto? Lui bisbiglia: non è oggetto -
infine allegramente suona
sillabe, a limitare
la malinconia anulare.

- La mia scrittura è una creatura viva che rifugge la pietà -

Quando ci ritrovammo, gli porsi il foglio. Lui lo arrotolò e se lo mise dietro l’orecchio come fosse una matita. Io rimasi male, ma cercavo di non darlo a vedere.
“Non leggi?”
“Stasera, adesso parliamo. Ma che roba è?”
“Sono le linee della mia poetica…eheh.”
“Ahahahahah … questa sì che è bella! Da quant’è che scrivi poesie?”
“Da oggi. E’ vietato?”
“ No, anzi mi rendi felice.”
Non spiegò il foglio e attaccò a illustrarmi il rapporto testo-lettore, a spiegarmi come bisogna scegliere uno schema, definire la forma, spezzare i versi e variare le durate. Parlò a lungo, senza interrompersi, per quasi un’ora. L’ascoltavo con interesse. Cercò di farmi capire come estrarre le mie emozioni e rielaborarle nel testo, cercare il ritmo, il suono nelle parole e soprattutto m’invitò a leggere e a rileggere uno scritto per poi lasciarlo da una parte a lievitare come il pane e, infine, riprenderlo e limarlo in un secondo momento.
“Talvolta i versi escono dalla pancia senza che abbiano bisogno di essere ritoccati, ma succede di raro. Il testo poetico va visto e rivisto, su una poesia ci si può lavorare anni.”
L’orologio della chiesa suonò l’ora di notte e Struffello andò a riposare perché il giorno seguente aveva intenzione di sorvolare l’arcipelago e il viaggio si prospettava lungo e faticoso. Rientrai a casa. Mio marito scriveva un romanzo. Presi un foglio e appuntai queste parole:


S’apre, anche se a spinta,
il cancello del giardino
scricchiola, ma s’apre
perché il tum tum del sangue
vieta alla neve di attecchire
quel tum tum che
scartavetra la ruggine dai ferri
ossigena fittoni e rampicanti
perché ai loro piedi
i gerani rifioriscano.

Toccai il braccio di mio marito. Lui si tolse gli occhiali e mi guardò.
Con un sorriso gli comunicai la notizia:
“Aspetto un bambino. Le analisi sono positive.”
Le ombre sul futuro si dissolsero.
L’indomani, a tarda sera, anche Struffello seppe del seme che stava maturando.
Anzi dei semi. Aveva letto i miei versi, si fermò sugli ultimi.
Con gli occhi gli s’inumidirono per la felicità, balbettò:
“Figli e poesia, cosa si può desiderare di più dalla vita?”
Restò sull’isola un altro mese circa.
Ci tenevamo in compagnia, lui nell’attesa di riabbracciare la sua Manfregola ed io di partorire quel figlio che aspettavo da tempo e che doveva nascere in primavera.
Un giorno Struffello mancò all’appuntamento.
Il mattino seguente, sul davanzale di camera, esposto a oriente, trovai un rametto di rosa rampicante, con un fiore aperto e tanti piccoli bocci che ho conservato in un libro di poesie a me caro.
Ricordo le persiane della sua cantina sprangate. La nostra stagione era finita, ma lui mi aveva arricchita, spingendomi a ritrovarmi nelle mie stesse parole.
Della sua preziosa amicizia avverto tuttora la mancanza, nonostante mi sia ormai trasferita nel mio paese d’origine, con mio marito e mia figlia che ho chiamato Beatrice proprio in ricordo dello Struffello.
Continuo a scrivere versi, più o meno riusciti, e dalla mia casa che finalmente s’affaccia sul mare, scruto l’orizzonte ogni sera con la speranza di rivedere approdare l’amico dalle piume struffellate.




Racconto tratto da IL VOLO DELLO STRUFFELLO, Liberodiscrivere® edizioni, 2007

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