venerdì 2 marzo 2007

Annarita Buttafuoco


Le donne, anche le più ignare di militanze e movimenti e di lei stessa, le devono molto, perché molto Annarita ha fatto per loro (L.Berlinguer)

Il mio ricordo di Annarita


Avevo nove anni quando per la prima volta vidi Annarita, figlia di una grande isola sbarcata in una piccola isola.
Da allora le nostre vite si sono intrecciate in una casa bianca, affacciata sul mare, dove bambine guardavamo la schiuma delle onde coprire gli scogli.
Non siamo mai state amiche, eravamo piuttosto sorelle acquisite.

Non avevamo un padre ma due madri che si fusero dando corpo ad un’unica madre.
Lella, sua madre, cucinava bene, rideva volentieri, stirava e piangeva nel seguire alla televisione la festa annuale dell’Arma.
Marisa, mia madre, non sapeva cucire, né sferruzzare, ma ci parlava a lungo e ci indicava che la via per affrontare il mondo stava dentro ai libri.In Annarita e in me, l’amore già innato per la lettura si rafforzò giorno dopo giorno, in quel luogo magico sospeso tra cielo e mare,
dove Marisa teneva le redini
dove l’universo maschile era rappresentato dai fratelli minori
dove i libri stavano ovunque.
Di Annarita avevo soggezione, al Liceo Classico era molto brava, mentre io me la cavavo senza infamia e senza gloria e così provai a fare la furbetta e approfittai della sua preparazione per fare i compiti.
Lei, per due o tre volte, accettò di aiutarmi poi un giorno di fronte ad Enea che attendeva di essere tradotto, mi guardò dritta negli occhi e disse: “No! Devi camminare da sola!”
Alta, magra con due occhi grandi, neri e seri, specchio della sua forza e della sua malinconia, studiava e lavorava nel pomeriggio presso lo studio di un commercialista .La paura l’attanagliava nell’attraversare la piazza per andare a versare i soldi in banca.
Nel crescere il suo animo si schiuse e la sua sicurezza interiore aumentò.
La ricordo ancora sorridente, circondata da amici e amiche della sua compagnia.
Ricordo i suoi, i miei, i nostri primi amori. Spensierati i miei, travagliati i suoi. entrambi non gratificanti.
Diverse per carattere e per origini, Annarita e io aspiravamo a qualcosa che andasse oltre il rituale dell’adolescenza, forse per colpa del nostro passato:
nelle nostre vite, un concentrato di vite
alimentato dalla lettura,
dal cercare di comprendere,
dal continuo interrogarci, in silenzio, sulle nostre esistenze.
La vita ci divise.
Annarita scese a studiare nella capitale.Io, quindicenne, restai sullo scoglio. Talvolta quando tornava, c’incontravamo, ma non si condividevano più le ore.
Leggendo il suo nome stampato sui giornali, sapevo dei suoi studi e della sua fama sempre in crescita.
Accademica, nota storica il suo cognome era diventato sinonimo di Storia delle Donne.
Quando la incrociavo in quelle strade che attraversava come se non le avesse mai lasciate, la salutavo un po’ intimorita chiedendomi che cosa fosse rimasto in lei di noi, del tempo vissuto assieme.
La risposta la lessi nei suoi occhi il giorno in cui io persi Marisa, mia madre.
Arrivò nella camera mortuaria abbracciata a Lella.
In silenzio condividemmo il dolore.
Non era una visita di circostanza la sua, era la visita di chi aveva perduto una parte di sé, come io ho perduto con lei parte della mia infanzia e della mia adolescenza, quella parte di me che ho tenuta nascosta finché da un’altra isola grande, isola che non è quella in cui nacque Annarita e neppure lo scoglio in cui Annarita ed io abbiamo camminato fianco a fianco, giunse un’altra Donna a chiedermi di raccontare di Annarita, di me, delle due madri e della nostra vita nella casa bianca.

Sandra

1 commento:

Antonio Di Giorgio ha detto...

Cara Sandra: Letto, ho visto che sei passata e che stai leggendo molte cose. Sono fiero di te! Coraggio. A prestissimo.
Ps ieri non ero al pc, vedevo il Festival !