venerdì 19 ottobre 2007

Reggiseno

Il reggiseno compie 100 anni




Reggiseno

rafforza ricchezze

raccoglie, riempie…rialza

rotondità… rilassate.

Rosa, rievoca ricordi

reconditi, richiama,

riapre respiri;

ricamato raffina,

rianima reazioni,

romantiche;

rosso rapisce ragazzi

reclamando

roventi rapporti.

Riassumendo:

riassettiamo rughe,

rimettiamo reggipetto.


giovedì 18 ottobre 2007

Ri-guardarsi



incisioni carnali
ri-guardarsi
su pagine fitte
in tomi di stagioni;
perifrasi su perifrasi
un intrico oscuro
pur al narratore
omodiegetico
che pulce punge
fuggendo indisturbata
tra straripamento
d’istanti dove
orologi e luoghi
giacciono, derelitti.

mercoledì 10 ottobre 2007

Ottobre




In un campo, con le canne a difesa
d’un fosso, poco distante dal mare,
un sospiro d’inverno al crepuscolo

- sono scomparsi dal cuore il cinguettìo
e dalla mia bicicletta il sentiero –

smuove la brace tiepida e morbida
a svelare del fuoco i riverberi
meraviglie d’un ottobre clemente.


lunedì 1 ottobre 2007

Terza alternanza






Era buio, la ruota era alta e il sedile a due posti saliva.
Sciabordata dall’onde dell’aria
stringevo le mani alla corda.

Sono belli i quadri più vecchi
della mia galleria: il lettone,
la parete a pois, la panca in cucina,
mio padre, mia madre.

Era luce vent’anni più tardi su un treno. In campagna
le gambe divennero molli.
I girasoli guardavano il cuore
impazzito. Straniava la vista.

Sulla schiena m’è nata una gobba,
sulla pelle, una voglia:
pitture… pitture… con i compagni di oggi.


domenica 30 settembre 2007

Come Odisseo







Come Odisseo sono figlia di un' isola.
Abito all'Elba dal colore del fumo: in essa è un monte
che spicca, il monte Capanne di grigio granito; intorno sono
altre isole, vicine tra loro,
Montecristo, Capraia e la piatta Pianosa.
La più grande nel mare essa giace, al centro
verso oriente – le altre, verso sud, ovest e nord -,
verde e boscosa, brava nutrice di giovani.


sabato 29 settembre 2007

Quel che dirò a Portoferraio il 16 ottobre su





Stiamo per assistere alla proiezione di N. di Virzì, ultimo film italiano su Bonaparte, liberamente tratto, come voi tutti sapete, dal romanzo N. di Ernesto Ferrero, uscito per le edizioni Einaudi nel 2000, e che vinse, nello stesso anno, il Premio Strega.
Gran parte del film è girata in interni, dell’Elba dove è ambientata la storia c’è poco o niente, l’isolotto di Cerboli sullo sfondo di una scena iniziale induce a pensare che il regista abbia scelto di non dare troppa importanza alla fedeltà della ricostruzione storica degli ambienti esterni. Si fatica a riconoscere il nostro territorio.

giovedì 27 settembre 2007

Del poeta






Del poeta ho forse l’animo,
non altro
- né tecnica, né stile,
né memoria della metrica
incrostata da gravosi
pensieri di vita -
perciò delle parole farò lettura
e della scrittura
righe crepuscolari
in un intimo piacere.


mercoledì 26 settembre 2007

Oggi è chiaro



Oggi è chiaro che
la buca nera in cui
ogni tanto cado
,mio malgrado,
è nostalgia
,se non malinconia,
dell’entusiasmo perso
per le mine latenti
o già brillate, e
come da bambina a mosca cieca
metto le mani avanti
che l’oltre è un chiaroscuro.

giovedì 20 settembre 2007

Settembre



Il chiasso dell’estate che non torna
s’attenua per farsi eco e poi morire
tra le mura silenziose del paese.
Sulle pietre si fa lento il cammino
per rapire il tepore settembrino.
Il sole che scottava se n’è andato,
amoreggiano, a scuola i ragazzini.

mercoledì 12 settembre 2007

Non è la vera



Non è la vera che salda un’unione
neanche l’amore di ora e di allora
a unire è una lunga catena
di anni formata da maglie artigiane
sebbene siano imperfette e ammaccate.

martedì 11 settembre 2007

Pensiero



Dura un giro di luna il desiderio
di un settembre cittadino – la corda
non si strappa mai – per una cucciola
invecchiata nell’i-solitudine.
E forse – a ben pensarci - ancora meno.


domenica 9 settembre 2007

E’così che il big in vip produce il doc.



Poco conta la qualità di un libro
di un big e così fa in partecipare
alla presentazione. In prima fila
vip e autorità e, a seguire, gente
a volontà che i big comunque sono
bravi, e i di loro figli pure, nonché
i nipoti e poi… che mise… le stoffe
e i profumi - quelli sì di qualità-
che solleticano il naso al brindisi
finale tra salatini e vino doc.
E’così che il big in vip produce il doc.

lunedì 3 settembre 2007

Scorre altrove



Scorre altrove la vita che volevo.
La colpa è del ronzio di un calabrone
che coprì la nota giusta e lo sguardo
di quel volto esposto al vento – di quando
indossavo la scamiciata a quadri
e il corpo non sudava per il caldo –
rimase in fotogramma nel cassetto.
Quanto sopra racconto, a discolparmi.

mercoledì 29 agosto 2007

Di Dì in Dì

Oh che bel castello marcondirondirondello
Oh che bel castello marcondirondirondà


Due passi avanti e due indietro
Due indietro e due avanti
Due di lato e due verso il centro
Da sinistra a destra e viceversa.

Di Dì in Dì
Da quando buttai la chiave
Del castello, le mongolfiere
Decorate non decollano per me.

Oh che bel castello marcondirondirondello
oh che bel castello marcondirondirondà

lunedì 27 agosto 2007

Ancora Alternanza

Parte del paese che amavo
è scomparsa con la morte
delle persone che amavo.

A compensare, un’altra
è sorta in campi allora
brulli. Ancora amo.

lunedì 13 agosto 2007

Alternanza

In rughe di carne e crepe d’ufficio
rimasugli di un ferragosto
infausto, fruga un refolo
alla vigilia di un altro ferragosto.

In un triangolo di luce
il timore di una piatta
infinita
in dissolvenza.

martedì 31 luglio 2007

Venti di mare



Urlo di vento:
un mulinello d’alghe
vola sul mare.

Maestrale allegro
da nord ovest gorgheggia.
Ballano barche.

D’inverno gela
il grecale la gola.
Stridono l’onde.

Oh! Lo Scirocco
pizzica corde cupe e
il mare impazza.

Spira libeccio
sulla cresta del mare
splendide note.



venerdì 6 luglio 2007

Curva, coi muscoli contratti




Curva, coi muscoli contratti,
- e luglio è testimone- separo
il sale dalla sabbia
- in quel poco che due gambe
piombate hanno permesso
di riunire sul carretto - per estrarvi
il miglio e trasferirlo negli zaini
molli di giovani - non solo miei -
e la voglia di vita, da allacciare
ai manici, per segnalare
la via, a chi s’è sperso
- e spento vaga -



Portoferraio 6 luglio 2007

lunedì 2 luglio 2007

La lettera

Gina, messa la spesa sulla tavola della cucina, preleva Ginevra dalla carrozzina.
L’appoggia sulla gamba, l’attacca alla mammella.
Finita la poppata, la cambia, l’addormenta.
Allunga alla neonata una carezza sulla guancia, la lascia nella culla.
Uscita dalla camera, sfoglia la posta ammucchiata sulla scrivania alla ricerca della bolletta dell’acqua scaduta da una settimana, ma, tra la consueta pubblicità, nota una lettera dalla calligrafia conosciuta, quella della nonna Gabriella.

“ Carissima cocca,
nella fotografia, Ginevra sembra una rosa bellissima delicata, una stella luminosa.
La fossetta sopra la bocca carnosa ricorda la nostra famiglia.
Scusa la scrittura imprecisa, ma la mano ancora trema a causa della caduta capitata domenica.
Dalla radiografia l’anca risulta incrinata.
Basta rimanga sana la testa!
Allegata alla mia lettera una stecca della tua cioccolata svizzera preferita, una copertina traforata, una maglietta estiva.
La maglietta a maglia ritorta sembra piccola? Rimandamela.
Una carezza affettuosa a Ginevra dalla sua bisnonna.
Nonna Gabriella”

Nonna abitava da sola a Siena, città universitaria. Sua figlia stava a Follonica sulla costa maremma. Gina, da studentessa, abitava dalla nonna.
La casa, costruita da una società finanziaria prima della seconda guerra, era situata nella zona attigua a quella della facoltà umanistica frequentata da Gina.
La lettura della lettera la trasporta nella casa dall’entrata buia.
La lampadina era bruciata. La volta era alta, nonna era bassa, faceva fatica a sostituirla.
Gianna saliva timorosa la scala semioscura osservata dalla gatta appollaiata sulla ringhiera.
La micia fissava la porta. Miagolava sia a Gina sia a Gabriella
Cosa aspettava? Cosa vedeva?
Chissà cosa pensava quella gatta rossa.
La domanda resterà senza risposta.
Una volta aperta la porta della zona abitata, l’atmosfera cambiava, Gina avvertiva aria di casa: sarà stata la pendola, sarà stata la stufa a legna, alimentata da vecchia carta stampata, bagnata, pressata, asciugata nella cassetta sulla terrazza, sarà stata…la presenza protettiva della nonna.

Gabriella era una nonna severa, ma affettuosa. Coccolava Gina, tuttavia era una donna altera.
Gina studiava, la nonna, seduta sulla sponda della poltrona a stoffa damascata, ascoltava la lettura della prima cantica.
Conosceva a memoria la Divina Commedia:“ …una lupa …sembrava carca nella sua magrezza…”
Orgogliosa della sua cultura l’aiutava alla sua maniera :
“La selva rappresenta l’ignoranza della società cristiana, la collina la vita virtuosa, ordinata, causa dell’umana felicità , scaturita dalla Grazia. Nella lonza maculata sta la lussuria, nella lupa l’avarizia. L’anima oppressa scivola nell’angoscia, nella paura.”
La barca sulla sponda, la chiusa apocalittica della terza cantica, la Bella scuola, Ginevra, la Fortuna, Medusa, La quinta bolgia , La fiera compagnia, La salita alla settima bolgia, la Caina ,l’Antenora , la Tolomea, la Giudecca, l’Anima mantovana…donna amata, donna pietosa”
Gabriella la ricordava tutta.

Era stata maestra. Appena diplomata, insegnava nella scuola della campagna alla periferia della città toscana. Tuttavia, cittadina, aveva, all’epoca, un’idea idilliaca della campagna.
Conosceva la poesia bucolica dell’età classica, l’Antologia Palatina ,la donzelletta venuta dalla campagna , la gemma a primavera, la brina sull’erba all’alba.
Insomma ignorava la dura realtà contadina: la gallina incrociata sull’aia sbuzzata sulla tavola,la scarpa infangata dalla mota mista alla materia immonda lasciata dalla cavalla, la puzza della concimaia.
Una contadina l’aveva ospitata in una cascina linda, pulita ma priva della stanza sanitaria.
La tazza, era stata ricavata nella paglia della bicocca attigua alla casa colonica.
Nella stalla, una stanza mezza diroccata, appena Gabriella apriva la porta, la capra brucava tranquilla, viceversa l’asina ragliava .
Alzata la gonna provava : nulla! Coraggiosa insisteva.
Superata la prova, usciva vittoriosa.
Nonna ricorda la paura provata a farla alla presenza della mucca, la vergogna all’entrata inaspettata della padrona della casa.
Ancora esclama: “ Era una bella balla la vita bucolica , la vendemmia festosa, la farfalla sulla margherita !”
La padrona , tuttavia, era generosa, capiva la maestrina. Dopocena la viziava.
Preparava a Gabriella una camomilla. Gliela lasciava tiepida vicina alla brocca pulita…
Gabriella rammenta la corriera dell’ATA sulla strada sterrata, la mano gonfia a causa della puntura dell’odiata vespa, l’alunna della prima fila dalla treccia bionda.
Una volta superata la precarietà lavorativa, era stata trasferita alla scuola “ Teresa Mantegazza “ della sua città.
Nonna aveva una debolezza : una tazzina della sua china preferita a sera , finita la cena.
Teneva la bottiglia nella vetrata dell’argentiera nella sala.
Disinvolta diceva : “ La china allarga l’aorta” . Una bugia, ma senza importanza.

Gina sposta la tenda della finestra, osserva l’ortensia sfiorita.
L’aveva piantata a primavera, da una talea dell’ortensia della nonna.
Nella stanza vicina Ginevra strilla, reclama la terza poppata.
“ Ginevra aspetta, mamma arriva! …capra, mucca, asina chissà. ! Donna mamma và..!”

mercoledì 27 giugno 2007

Il mio incontro con lo Struffello

INCONTRO CON ALESSANDRA PALOMBO



Il luogo

A poche persone è permesso
vivere all’Elba l’alba viola
che incatena chi veglia.
Un dì di febbraio un raggio
violaceo venne sul letto
a baciarmi le labbra.
Era l’alba, ero all’Elba
e, allora, ero giovane e bella.

Eh sì, ero giovane e bella. Rientrata dal viaggio di nozze, avevo lasciato la città e con lei i miei affetti più cari, le amiche, le opportunità di lavoro che si erano presentate dopo la mia laurea, per calarmi in una realtà completamente diversa da quelle in cui avevo vissuto fino allora.
Il paese era costituito da un pugno di case, le persone si conoscevano tutte, erano imparentate tra loro ed io m’intristivo a guardare il mare da lontano e a pensare alla mia famiglia, alle luci dei grandi magazzini e alle librerie cittadine dove ero solita passare a curiosare tra gli ultimi arrivi di narrativa.
La Sip ritardava ad allacciarmi il telefono; mi sentivo fuori dal mondo, soprattutto nei pomeriggi invernali quando mio marito rimaneva a scuola sino a tardo pomeriggio.
Così successe che un giorno, per scuotermi dalla malinconia che il silenzio attorno casa mi trasmetteva, decisi di uscire a fare due passi.
Il freddo era pungente, il sole era calato da un po’, ma mal sopportavo di starmene chiusa a leggere e a guardare la televisione. Non sapevo, però, cosa mi aspettava fuori dalla porta.
Il paese era deserto. Il mercoledì i negozi erano chiusi e non c’era anima in giro. Le luci dei lampioni oscillavano; nelle stradine e nelle scalinate incontravo solo gatti. Attraversai la piazza dove, con sollievo, trovai una parvenza di vita: due bar aperti e una signora che rientrava a casa. L’avevo intravista in Chiesa, ignoravo il suo nome, ma lei non il mio.
“Sandra dove te ne vai con questo tempo e a quest’ora?”
“ All’ambulatorio, chiude alle sette, vero?”
“ Sì, ma è freddo; è meglio stare al caldo, altrimenti ci si ammala sul serio.”
“ Farò presto; raggiungo mia suocera che dovrebbe essere andata dalla dottoressa per un controllo.”
Mi ero inventata di sana pianta la storia della visita medica, avevo bisogno di aria, di luci di suoni, di clacson, di rumori che in quel paese, me ne resi conto quel giorno, non avrei mai trovato, se non in estate, quando si popolava di turisti.
Arrivata alla fine dell’abitato, dove c’era l’ambulatorio, girai e stavo ritornando verso casa, augurandomi che mio marito tornasse presto, quando, svoltato un angolo, mi scontrai letteralmente con uno strano animale e mi ritrovai in terra con le ginocchia sbucciate.
“ Ahhhh!!!”. Il mio urlo dovuto allo spavento e alla caduta si propagò nei vicoli deserti, da dove chiaramente non giunse nessuno a soccorrermi.
Mi rialzai, mi feci coraggio e lo guardai negli occhi.
Erano dolcissimi, tradivano una malinconia che la mia era niente al confronto. D’istinto, accarezzai la sua chioma e lisciai le sue penne.
“Come ti chiami?”
“ Struffello.”
“ Piacere, io Sandra.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro; ci leggevamo dentro, eravamo sensibili entrambi e tutti e due ansiosi di trovare la nostra pace. Lui nella Manfregola, io nel capire cosa mi avrebbe riservato il futuro in quel piccolo paese collinare dove mi ero ritrovata a vivere e nell’isola nella quale ero tornata dopo anni trascorsi in continente.
Struffello dormiva in una cantina abbandonata nella piazzetta sotto casa mia e la mattina seguente lo invitai a prendere un caffè. Era giovedì, giorno in cui mio marito rimaneva a scuola tutto il giorno e lui s’attardò per raccontarmi il motivo per cui si era fermato in paese.



L’arrivo

Poetica, che orchestri segni
oltre il visibile e il tangibile,
ed inviti il lettore nel testo,
tra i versi, a visitare viuzze
interiori, sei inutile ai più
che voltano tronco e volto
a fronte di eterne domande.

Era settembre ed era stanco del volo il povero Struffello. Passando sopra una piazza del paesino, su una panchina un po’ in disparte, rispetto ai bar e gli altri punti di ritrovo, vide un vecchio con il volto disteso e le mani in grembo che guardava davanti a sé con lo sguardo assorto.
Il borgo antico immerso nella macchia mediterranea, l’espressione dell’uomo e il silenzio che li circondava apparvero allo Struffello segni favorevoli per risolvere l’enigma della scomparsa della Manfregola.
Giuseppe aveva superato, da anni, il novantesimo compleanno, aveva attraversato due guerre, sofferto la fame, rischiato di morire.
Alla fine del secondo conflitto mondiale per guadagnare due lire era stato tra i pochi che avevano accettato di lavorare alla sistemazione del cimitero dopo che era stato bombardato, perciò non si scompose quando lo strano uccello atterrò vicino a lui e neppure si schifò quando un piccolo escremento scivolò sulla pietra poco distante.
Non sapendo come iniziare la conversazione, lo Struffello aveva cominciato il discorso sulla Manfregola prendendolo alla larga:
“ E’ bello qui, c’è pace”.
“ Sì la tranquillità non manca, ma da dove vieni? Non ho mai visto uno della tua razza.” Rispose il vecchio girando il collo verso lo strano animale.
“ Non ha importanza, sarebbe troppo lungo raccontarvi la mia storia, vi annoierei. Sto viaggiando alla ricerca di una pianta che amavo molto e che non riesco a trovare, non so più dove abbia messo radici.”
“ E’ un’erba selvatica?”
“ Certo non è addomesticata e le sue origini si perdono nella preistoria. Furono gli Dei a crearla per donarla agli uomini.”
“ Allora è un’erba medica! Sulle colline vi sono molte piante medicinali. Guarda quell’altura. C’è un eremo, senza monaci ormai, dove hanno ricreato un giardino piantando malva, rosmarino, ortica, salvia e tutte le altre erbe che servivano all’uomo per curarsi.”
“ Quella che cerco io si chiama Manfregola e serve allo spirito non al corpo.”
“ Allo spirito? Mai sentito di una pianta che serve allo spirito.”
“ Infatti, è rara e pochi la conoscono e la usano.”
“ Che giovamenti porta?”
“ Chi coglie una delle sue foglie vede il mondo da una prospettiva diversa, vive gli affanni con filosofia, si avvicina al cielo e agli Dei.”
Il vecchio rise: “ Agli Dei? Mica siamo al tempo degli etruschi!”
“ Hai mai letto una poesia?”
“ Più che altro le ho ascoltate. Mia moglie la sera accende la luce piccola, inforca gli occhiali e legge ad alta voce un articolo di giornale oppure un pezzo di libro o un passo della Bibbia. Lei ha studiato, io sono ignorante.”
L’uomo cominciò ad incuriosirsi. Era strano quell’uccello: “ Qual è il tuo nome?”
“ Struffello.”
“ Senti Struffello, la poesia è davanti a te. Vedi quei colli?”
“ Non sono cieco, certo che sì!”
“ Se passeggi lungo i sentieri, che da qui non si vedono perché sono nascosti dagli alberi, troverai la poesia. Vi sono lecci, sugheri, querce, pini secolari che affondano le radici in una terra ferrosa colma di scorie e di storia. Una volta, lavorando in una casa vicino al mare, trovai un fossile. Questa è la poesia, immergersi nella natura, guardare il cielo, trovare un vecchio arnese e inventarsi la sua storia.”
“ Allora la Manfregola potrebbe vivere in quella zona. Sapete che faccio? Adesso che mi sono riposato vado a dare un’occhiata all’eremo.”
“ Buona giornata signor Struffello! T’avverto che laggiù troverai un artista un po’ matto. Non è un paesano, ma ha scelto di abitare tra noi. Siamo gente semplice e genuina e l’aria è buona.”
“ Buona giornata a voi, vecchio saggio.”
Detto questo Struffello spiccò il volo.
Nell’avvicinarsi all’eremo, dove la piccola costruzione dominava un pianoro, il profumo della macchia mediterranea si faceva, a mano a mano, più intenso.
Era da tempo che non odorava la terra e le sue essenze e l’uccello ispirò a tal punto da stordirsi.
“ Dove sono? Che mi è successo?” domandò a un giovane scapigliato accanto a lui
“ Ah! Ti sei ripreso! Non preoccuparti sei stato preda della sindrome di Stendhal.”
“ Ma qui non ci sono opere d’arte!”
“ La natura non è la massima manifestazione dell’arte?”
“ Forse sì, ma a me piace di più la poesia perché ci stacca dalla materialità della vita e ce la fa osservare da lontano e da vicino.”
“ Spiegati. Da lontano o da vicino?”
“ Da lontano perché guardando la vita con i suoi occhi, la vediamo a distanza cogliendone gli aspetti essenziali, da vicino perché mette in evidenza alcune particolarità che sfuggono al comune vedere.”
“ Cioè?”
“ Prendi un quadro. Il suo essere irriproducibile è dovuto al fatto che solo il pittore che lo ha dipinto può trasmettere la sensazione che ha scelto di rendere su tela e così è nella scrittura. Un autore può apprendere tutte le tecniche poetiche, scrivere una poesia perfetta, ma se la sua anima è sterile il suo scritto dalla forma impeccabile non produrrà emozioni e non sarà poesia.
In ogni caso sono discorsi a vanvera.
La poesia è sparita e sto andando a cercarla per stanarla e farla conoscere agli uomini moderni.”
“ Ti chiedo, usando le parole di un amico: a qual fine?”
“ Per permettere alle persone di vivere la poesia ovunque essi abitino.
La poesia è in ogni luogo, ma il rumore, la fretta, l’arrivismo di questa nostra epoca che si basa sul denaro più che sui valori l’ hanno portata a nascondersi e a fuggire per non essere derisa.
La poesia è l’unica arte che ha rifiutato di prostituirsi, non arricchisce nessuno e quindi è libera, libera anche di scomparire quando si sente incompresa e umiliata.
I semi che ha donato agli uomini nei secoli sono fioriti, ma sparendo lei, le poche talee selvatiche stanno seccando. E’ necessario e urgente ritrovarla. Sto malissimo senza di lei. La amo dall’eternità e voglio ritrovarla per spargere ancora i suoi semi perché colorino di rosa l’esistenza umana.”



I semi

In attesa di
sciogliere i nodi,
pettino l’ansia
che mi rende insonne.
Ignaro, girato di lato,
mio marito dorme.
In pozzo d’interno
intravedo
trasparenze d’azzurro
a spazzare la nebbia.

Struffello all’eremo aveva trovato indizi favorevoli che lo portarono a pensare che la Manfregola si fosse nascosta in quei luoghi e cominciò a perlustrare le zone interne dell’isola. Così si stabilì tra quei colli.
Lui cercava la Manfregola ed io leggevo. A fine giornata ci trovavamo sulla murella sotto casa mia. In silenzio ascoltava le emozioni e le riflessioni che le letture mi aveva suscitato e poi apriva il becco per, a suo dire, iniziarmi alla poesia.
“Sai Sandra, mi ha fatto piacere sapere che la moglie di Giuseppe legga poesie la sera, ma non credo che tutti e due riescano ad apprezzare del tutto i versi.”
“Perché scusa? Se gli trasmette un emozione vuol dire che il poeta ha raggiunto il suo scopo.”
“Non basta. Anche leggere su un quotidiano la notizia di un bambino abbandonato ci turba e ci scuote, ma non è poesia.”
“A scuola ci facevano fare la parafrasi del testo.”
“ Sì certo un tempo …Eh…eh… sei vecchiotta!”
Gli scarruffai i capelli con la mano e lui volò a casa perché era stanco; aveva viaggiato a lungo tutto il giorno alla ricerca della sua amata.
La mattina seguente, seguivo con lo sguardo mio marito che avviava la macchina per andare a lavorare e vidi Struffello seduto sui gradini della sua cantina.
Attirai la sua attenzione aprendo con vigore le persiane contro i muri esterni e gli feci cenno di salire. Il caffè che era ancora caldo e davanti alla tazzine fumanti riprendemmo il discorso sul rapporto scuola – poesia.
Fui io a voler approfondire il tema.
“Perché ieri mi hai ricordato che ero vecchiotta riguardo alla poesia e alla parafrasi?”
“Nella scuola gli insegnati non dedicano molto tempo alla poesia però, rispetto a quando tu eri ragazzina, hanno compreso che l’approccio con un testo in versi deve essere diverso e più completo.”
“Spiegati! Sono sempre mezz’addormentata.”
“Come primo passo il lettore deve domandarsi chi è l’autore e a quale periodo storico appartiene per individuare le tendenze culturali dell’epoca. In quale anno è stato scritto, in che momento, a quale situazione si riferisce, di che genere di poesia si tratta, per esempio epica, satirica, lirica post-moderna e a chi è indirizzata.”
“A me, tutte queste indicazioni, e tanto meno, credo, a Giuseppe non servono a niente, non dobbiamo mica superare un esame!”
“Vero, allora dimmi cosa t’interessa sapere?”
“Vorrei riuscire a capire quando un testo può essere definito poesia. Dove sta insomma il confine tra uno sfogo emotivo e la poesia vera.”
“E’ curiosa la tua domanda. E’ poesia quando ciò che rumina lo stomaco è elaborato da cervello e il testo esce con ritmo, musicalità e il messaggio esce limpido come l’acqua di una sorgente.
Ehi! Mica ti sarà salato in mente di metterti a scrivere poesie?”
Lo sguardo di Struffello a questo punto s’illuminò, in lui s’era accesa la speranza che la Manfregola non fosse poi così lontana e, infatti, senza neppure salutarmi uscì dalla finestra aperta per riprendere la sua perlustrazione.
Mi alzai per cominciare a rassettare la casa e sfaccendando mi ritrovai a cercare anch’io la Manfregola, nel senso che mi venne voglia di provare a scrivere una poesia.
Stavo annaffiando le piantine sul terrazzino quando nel vaso dei fiori di vetro vidi un seme portato dal vento.
Lo interrai e dopo poco delle parole cominciarono a frullarmi in testa e pensai di scriverle per regalarle allo Struffello:



La mia scrittura autentica,
pudica, proietta
l’essenza del mio spirito

- la donna gelosamente difende la propria intimità –

alla sbarra, rigida s’imbriglia,
piroettando
tra le gabbie del linguaggio

- "Homo ludens" dalla lettrice è stato recepito bene –

talvolta, spinta da un poeta,
scopre alcune tele
del propriopaesepatriaisola

- Da soggetto a oggetto? Lui bisbiglia: non è oggetto -
infine allegramente suona
sillabe, a limitare
la malinconia anulare.

- La mia scrittura è una creatura viva che rifugge la pietà -

Quando ci ritrovammo, gli porsi il foglio. Lui lo arrotolò e se lo mise dietro l’orecchio come fosse una matita. Io rimasi male, ma cercavo di non darlo a vedere.
“Non leggi?”
“Stasera, adesso parliamo. Ma che roba è?”
“Sono le linee della mia poetica…eheh.”
“Ahahahahah … questa sì che è bella! Da quant’è che scrivi poesie?”
“Da oggi. E’ vietato?”
“ No, anzi mi rendi felice.”
Non spiegò il foglio e attaccò a illustrarmi il rapporto testo-lettore, a spiegarmi come bisogna scegliere uno schema, definire la forma, spezzare i versi e variare le durate. Parlò a lungo, senza interrompersi, per quasi un’ora. L’ascoltavo con interesse. Cercò di farmi capire come estrarre le mie emozioni e rielaborarle nel testo, cercare il ritmo, il suono nelle parole e soprattutto m’invitò a leggere e a rileggere uno scritto per poi lasciarlo da una parte a lievitare come il pane e, infine, riprenderlo e limarlo in un secondo momento.
“Talvolta i versi escono dalla pancia senza che abbiano bisogno di essere ritoccati, ma succede di raro. Il testo poetico va visto e rivisto, su una poesia ci si può lavorare anni.”
L’orologio della chiesa suonò l’ora di notte e Struffello andò a riposare perché il giorno seguente aveva intenzione di sorvolare l’arcipelago e il viaggio si prospettava lungo e faticoso. Rientrai a casa. Mio marito scriveva un romanzo. Presi un foglio e appuntai queste parole:


S’apre, anche se a spinta,
il cancello del giardino
scricchiola, ma s’apre
perché il tum tum del sangue
vieta alla neve di attecchire
quel tum tum che
scartavetra la ruggine dai ferri
ossigena fittoni e rampicanti
perché ai loro piedi
i gerani rifioriscano.

Toccai il braccio di mio marito. Lui si tolse gli occhiali e mi guardò.
Con un sorriso gli comunicai la notizia:
“Aspetto un bambino. Le analisi sono positive.”
Le ombre sul futuro si dissolsero.
L’indomani, a tarda sera, anche Struffello seppe del seme che stava maturando.
Anzi dei semi. Aveva letto i miei versi, si fermò sugli ultimi.
Con gli occhi gli s’inumidirono per la felicità, balbettò:
“Figli e poesia, cosa si può desiderare di più dalla vita?”
Restò sull’isola un altro mese circa.
Ci tenevamo in compagnia, lui nell’attesa di riabbracciare la sua Manfregola ed io di partorire quel figlio che aspettavo da tempo e che doveva nascere in primavera.
Un giorno Struffello mancò all’appuntamento.
Il mattino seguente, sul davanzale di camera, esposto a oriente, trovai un rametto di rosa rampicante, con un fiore aperto e tanti piccoli bocci che ho conservato in un libro di poesie a me caro.
Ricordo le persiane della sua cantina sprangate. La nostra stagione era finita, ma lui mi aveva arricchita, spingendomi a ritrovarmi nelle mie stesse parole.
Della sua preziosa amicizia avverto tuttora la mancanza, nonostante mi sia ormai trasferita nel mio paese d’origine, con mio marito e mia figlia che ho chiamato Beatrice proprio in ricordo dello Struffello.
Continuo a scrivere versi, più o meno riusciti, e dalla mia casa che finalmente s’affaccia sul mare, scruto l’orizzonte ogni sera con la speranza di rivedere approdare l’amico dalle piume struffellate.




Racconto tratto da IL VOLO DELLO STRUFFELLO, Liberodiscrivere® edizioni, 2007

lunedì 11 giugno 2007

Il volo dello struffello




PRO NATURA FIRENZE SOC. CANOTTIERI FIRENZE


invitano alla presentazione del libro


IL VOLO DELLO STRUFFELLO
Liberodiscrivere® edizioni

che avrà luogo

Sabato 16 Giugno alle ore 17,30

presso la Sala Conferenze della Canottieri,

Lungarno A.M.L. de’ Medici 8, Firenze.



Presenterà il volume lo scrittore Gianni Marucelli Interventi musicali della Ensemble Coincidencia (Donatella Alamprese, Marco Giacomini). Lettura dei testi a cura di Gabriella Bigi e Giovanni Pacini.

Al termine della serata, brindisi con gli Autori.

sabato 9 giugno 2007

Un cantuccio

Gareggiare coi giovani
- che corrono al mare
già ai primi di giugno - è un’utopia
poiché il sangue è esaurito e
un cantuccio di rena sulla battigia
un cantuccio di brezza sulle rughe
un cantuccio di speranza alla sera
solo un cantuccio
io chiedo
all’estate.

mercoledì 6 giugno 2007

Tenerezze antiche

In un foglio
tenerezze antiche

dire
fare
baciare
lettera
testamento

e verbi mal declinati
in un giro di stanza,

soggetti
predicati
complementi
diretti
e indiretti

sull’acqua salata
che bolle in cucina

ora e qui
evaporano

su occhi arrossati
per la lettura a ritroso.

sabato 2 giugno 2007

Amica solitudine



Incapace d'indossare
la veste di serva, dei servi,
o altra uniforme necessaria
a danzare nelle piazze
incantata, come una bambina,
davanti a una gardenia bianca
incontro Amica Solitudine.
Il rumore si fa sussurro e
del buio più non ho paura.



martedì 29 maggio 2007

La giornata della segretaria



La pioggia picchia sulla persiana alzata a metà, ma la pagnotta va guadagnata.
Laura infila la giacca incerata, afferra la cartella.
Una volta uscita dalla portineria della sua casa, arriva a corsa all’entrata della metropolitana.
L’aria stantia, tipica della zona sotterranea la disturba.
Sulla vettura sta ritta, considerata la poca distanza casa – agenzia.

Giunta abbastanza bagnata nella stanza, spalanca la finestra, cambia l’aria.
Annaffia la pianta, leva una foglia secca, controlla l’umidità della terra della piantina grassa posta sulla mensola sopra la piastra elettrica.
La parola grassa la impressiona.
Dalla scorsa settimana effettua una dieta ferrea, consigliata da Anna, la sua amica erborista: all’alba una banana associata a una fetta biscottata, a metà giornata una mela, a cena una tisana alla passiflora. La mattina appena suona la sveglia, monta sulla bilancia. La dieta funziona, la pancia cala. A sera sogna la taglia quaranta.

Sfoglia l’agenda, controlla la scaletta della giornata.
Avvia la macchina, guarda la videata, la cosiddetta interfaccia grafica, seleziona un’icona.
Visualizza la posta elettronica privata, quella dell’azienda la guarderà nella tarda mattinata.
Posiziona la freccia, crea una cartella nuova, la rinomina. Seleziona l’icona, la trascina, la sposta.
Terminata una lettera lasciata a metà la sera prima, la salva, attiva la stampa.
Aperta una nuova finestra, appunta una nota, la sottolinea.
Alla rinfusa, dà una sistemata alla scrivania, trova una fattura, la liquida.
Stufa, fa una pausa. Va dalla collega nella stanza vicina, chiacchiera, fuma una sigaretta.

La giornata passa da una pratica all’altra, dalla risposta a una telefonata, alla stesura della prossima iniziativa, una mostra sulla storia della donna.
La mostra, fotografica, sarà dedicata a Maria Assunta Messina.
Maria Assunta Messina, donna bella, estroversa, giornalista curiosa, nell’epoca postbellica, approda a Baltimora, allora ancora una piccola cittadina americana.
Là collabora alla Rivista italiana “ Bella Italia “, cura la rubrica della posta.
Parla alla donna emigrata, l’ascolta, la consiglia, la guida. Conforta la massaia, sprona l’operaia.
Assunta considera una necessità prioritaria la parità della donna nella fabbrica, nella campagna, nella casa stessa.
Pioniera, ipotizza la nascita della nuova donna, anticipa la filosofia femminista sessantottina.
La sua popolarità aumenta, la sua firma diventa prestigiosa, Laura diventa famosa.
Continua senza tregua la sua attività: fonda la “Lega della donna italiana nella società americana.”
La lega forniva assistenza gratuita alla donna bisognosa, evitava la carità, stimolava l’autostima.
Laura viaggiava da una città all’altra. La sua persona emanava un’autorevolezza carismatica
Aveva personalità, forza, era una donna determinata.
Anziana, rientrata a Roma, minata da una misteriosa malattia morirà nella sua casa sull’Appia Antica.

Seduta sulla poltrona ergonomica, rimasta sola nell’ala nell’agenzia, Laura stira la schiena, allunga la gamba destra, l’appoggia sulla scrivania.
Ha la vista appannata dalla stanchezza. La storia dell’Assunta l’ha annoiata.
Nella schermata ancora illuminata nota una figura strana Sembra una vipera .
“Una vipera?”
Osserva la figura. La modifica .Clicca sopra, la vipera sguscia rapida dalla finestra. Calma striscia, passeggia sulla scrivania.
Gira tra la carta, abbraccia una scatola metallica attirata dalla figura impressa sopra.
La scatola casca a terra, la vipera penzola nell’aria..
Laura ha la muscolatura contratta, la testa vuota, la osserva paralizzata.
“ La tastiera ! “
Allunga la mano , arriva alla tastiera, consulta la guida, cerca la parola vipera . La trova.
Letta la procedura, la memorizza.
Attiva la finestra a tendina , nella barra della notifica cambia sequenza.
Nella lista apparsa, pigia "cancella".
Svelta la vipera rientra nella figura grafica. Laura disattiva la macchina. Sospira.

Respira, chiusa la porta , scesa la scala arriva nella strada.
Cammina, inspira , ripensa all’assurdità della dieta consigliata da Anna.
Nota un’insegna luminosa. La scritta “ Trattoria” lampeggia tentandola.
Entra, ordina pasta alla amatriciana
Quella dieta dà alla testa. Sarà costretta a sostituirla.



Sandra

domenica 27 maggio 2007

E...

Ebbrezza

Entri
ed è emozione
estrema,
euforica essenza,
effetto ebano.

Entrambi ebbri
esaltati,
esultanti,
esposti,
eccitati,
estromettiamo
esterrefatto
entourage,
eclissandoci.

Ed è eros, eros eccelso.




Egli

Eri eclettico.
Ero ebbra.
Eri eccelso.
Ero erotica.

Euforici,
esternavamo
esuberanti
effusioni.

Esauritasi empatia,
egli è esso
esso è
esilissimo
ex-esso.


Da “ Tautogrammi d’amore e d’amarore, Genova, Liberodiscrivere, 2005

lunedì 21 maggio 2007

Confessione


Confesso che ho creduto nella bontà della natura umana, nell’amicizia e nell’amore in ogni forma e dimensione, nel sacrificio della Croce, nell’avvento di una società che abolisse la condanna a morte e rispettasse le persone e tutte le culture.

Confesso di avere investito i miei poveri talenti in ideali senza gambe, in chimere di bambini recitanti a sera le preghiere, gli unici capaci d’amare senza fini.

Confesso che è stato bello credere nella parità dei generi, nell’onestà dei sindacati, nelle manifestazioni solidali, nei programmi elettorali, nella ricerca medica non finalizzata ai fini delle aziende multinazionali, nel sesso come mano dell’ amore, nel calore della mura familiari, nelle certezze degli insegnamenti, nella coerenza di chi mi stava a fianco.

Confesso di essere cresciuta, di non essere innocente, di aver usato le utopie a scudo della fragilità e dell’incompiuto generato dalle ferite ricevute nell’infanzia.



giovedì 17 maggio 2007

Isola di mare



Isola di mare galleggio
nei giorni di calma e bonaccia

per sparire nelle onde increspate
- quando soffiano i venti -

sopra un fondo sabbioso
circondato da alghe e da ghiaie

- tra altra acqua salata -
senza conoscere abbraccio di terra.

martedì 15 maggio 2007

Desiderio


Desiderio
Disegno di Anna Paola Civardi


La casa in cui desiderio tornare
ha camere ariose e nicchie
segrete in cui ritirarsi a sera
per riposare tra morbide stoffe,

non ha via, né porte, né finestre
è somma di ricordi traslocati
sorta sulle rovine dell’infanzia
La mia casa me la porto addosso.


Alessandra Palombo

lunedì 14 maggio 2007

Vita di paese




Dove i taxi schierati sull’attenti danno il benvenuto al trenino dei turisti e i negozi offrono merce, cinese o marocchina, si trovavano le donne alla finestre le chiacchiere per via, le fontanelle agli angoli, i macelli, con la carne appesa ai ganci, e i crocchi nelle piazze principali, polle rigogliose, più che quadri pittoreschi, prosciugate dal progresso che ha costretto le persone nei quartieri dormitorio e negli ipermercati la vita di paese.